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Immagine del redattoreMatteo Trevisan

Sessualità e disabilità a Torino: "Percorsi mirati ed educazione necessaria"

La responsabile Giada Morandi afferma: "All'inizio del nostro percorso, abbiamo scoperto che soltanto il 28% delle donne disabili si rivolgeva al ginecologo".

Giovanni Paolo II, quasi vent'anni fa, pronunciò queste parole in un messaggio a un simposio sui disabili mentali: "Il disabile, come e forse più degli altri, ha bisogno di amore e di essere amato, di tenerezza, di vicinanza e di intimità. Dobbiamo prestare particolare attenzione alla cura delle dimensioni affettive e sessuali".


Già alla fine degli Anni Ottanta, un pionieristico sondaggio tra le persone con lesioni spinali in Piemonte rivelò che il desiderio predominante di recupero non riguardava le disfunzioni motorie, ma piuttosto quelle considerate autonome: urinarie, intestinali e genito-sessuali.

La buona notizia è che, grazie ai progressi della medicina e della tecnologia, la qualità di vita di chi ha una lesione spinale è notevolmente migliorata da allora. Tuttavia, la cattiva notizia è che il sesso rimane ancora in gran parte un tabù, soprattutto in Italia. Ne parliamo con Giada Morandi, responsabile del servizio sessualità e disabilità del Comune, tra i protagonisti del Convegno della Federazione Malattie Rare Infantili "Il sesso negato, autonomia e sessualità nelle persone con disabilità", che si è tenuto a Torino sabato 28 ottobre.


Quando è sorta la consapevolezza della necessità di un supporto dedicato alla sessualità e all'affettività delle persone con disabilità?

"Già negli anni Novanta, i servizi sociali torinesi iniziarono a lavorare su questo aspetto, spesso trascurato ma di fondamentale importanza per il benessere delle persone con disabilità. Iniziammo con un approccio centrato sulla rete di supporto della persona, composta da genitori, insegnanti, amici e altre figure di riferimento, ma non si teneva sufficientemente conto del protagonista, ovvero la persona con disabilità. Questo approccio era all'avanguardia per quei tempi, ma nel corso degli anni abbiamo fatto progressi significativi, poiché le esigenze delle persone con disabilità sono in continua evoluzione".


Come si svolge oggi il lavoro dei servizi sociali del Comune su questo tema?

"Tradizionalmente, si è spesso associata la sessualità a questioni psicologiche. Alcune persone venivano inviate da uno psicologo contro la propria volontà, ma senza la collaborazione del soggetto coinvolto, non si potevano ottenere risultati significativi. La tendenza era a ridurre tutto a un problema relazionale, che può essere presente o assente. Oggi, lavoriamo in collaborazione con il servizio Passepartout e le associazioni Verba e Mana. Abbiamo avviato un approccio sanitario, prendendo in considerazione la salute sessuale e riproduttiva delle persone con disabilità, spesso trascurate. Da una ricerca condotta anni fa sull'accesso alle cure e alle visite ginecologiche preventive per le donne con disabilità, è emerso che solo il 28% di loro si sottoponeva a tali esami. Si credeva erroneamente che fosse necessario recarsi dal ginecologo solo se si aveva una vita sessuale attiva. Tuttavia, questo non è corretto. Pertanto, abbiamo istituito un ambulatorio ginecologico accessibile in via Silvio Pellico. L'obiettivo non era creare un'area separata, ma consentire alle donne con disabilità di accedere alle cure ginecologiche in modo simile alle altre donne, affrontando temi come la maternità, la sessualità e la prevenzione".


Quali sono i percorsi disponibili?

"Oltre ai percorsi di sessuologia clinica, lavoriamo anche su programmi di educazione sessuale adattata. Gli psicologi valutano le conoscenze della persona e lavorano insieme a loro utilizzando gli strumenti appropriati. Ad esempio, abbiamo assistito una ragazza con disabilità intellettiva che aveva una vita sessuale attiva e un fidanzato, ma non sapeva nemmeno dove si trovassero le ovaie, disegnandole casualmente sul proprio addome. In un altro caso, abbiamo sviluppato un libro sulle emozioni legate alla sessualità. Inoltre, offriamo programmi di supporto per le coppie".

Perché è essenziale superare gli stereotipi e i pregiudizi sulla sessualità delle persone con disabilità?

"Nel corso degli anni, abbiamo scoperto che una percentuale significativa di persone con disabilità subisce violenze sessuali. Alcune di queste vittime potrebbero considerarsi sfortunate, ma altre non riconoscono la violenza perché nessuno le ha mai educate in merito. Queste persone possono diventare inconsapevoli vittime di abusi. Abbiamo documentato numerosi casi in cui le persone subivano violenze senza rendersene conto, a causa della mancanza di strumenti educativi. Quando abbiamo aperto il nostro servizio nel 2014, non avevamo nemmeno previsto questo problema. Tuttavia, la prima donna che abbiamo assistito durante una visita di routine aveva lesioni che avevano origine da anni di abusi da parte di più uomini. Non era consapevole di ciò che le stava accadendo".


Quali sono le statistiche relative alle violenze?

"Nel 2022, abbiamo assistito 270 persone, di cui 23 hanno intrapreso un percorso con gli operatori, 76 con gli psicologi e gli altri hanno richiesto solo informazioni. Di questi, il 43,4% ha dichiarato di essere stato vittima di violenza".


C'è una maggiore consapevolezza su questo problema?

"In parte sì, soprattutto tra gli operatori, ma ancora oggi persistono resistenze e stereotipi all'interno delle famiglie e nella società in generale. Ad esempio, c'è il pregiudizio diffuso che le persone con disabilità intellettiva siano ipersessualizzate, mentre chi ha una disabilità motoria sia visto come un angelo. Spesso, i genitori tendono a considerare la sessualità dei loro figli con disabilità come un problema da risolvere, quando in realtà non dovrebbe essere affrontata in questo modo. Ecco perché abbiamo istituito anche un laboratorio andrologico. Ricordo una madre che ci portò il figlio perché aveva erezioni spontanee e pensava che avesse bisogno di supporto psicologico. In realtà, si trattava di una reazione completamente naturale, e un semplice colloquio con un medico è stato sufficiente per dissipare le preoccupazioni".


Quanto è importante nascere in una città "adatta" per il benessere delle persone con disabilità?

"È estremamente importante e determina la qualità della vita di una persona. Personalmente, avendo una disabilità motoria, ho sentito racconti agghiaccianti da parte di persone che vivono in regioni come la Liguria. Siamo orgogliosi dei servizi che offriamo a Torino, poiché al momento siamo in grado di rispondere a tutte le richieste senza liste d'attesa, e speriamo che questa situazione continui. Inoltre, gli operatori delle associazioni con cui collaboriamo viaggiano in tutta Italia per offrire corsi. In una occasione, ci è stato detto: 'A Torino, state così bene che potete persino occuparvi della sessualità'".

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